Antigone coi ragazzi in mascherina ma tutti sognano un futuro diverso (Antonella Di Bartolo)
Data: 10/11/2020
Articolo tratto da La Repubblica (Antonella Di Bartolo)
Poco più di un mese: è il tempo che è trascorso dalla riapertura delle scuole, quella dei passi veloci per le scale e il vocio nei corridoi. Giorni divorati, come se li stessimo rubando, con la paura di essere sorpresi a goderceli, ed essere interrotti. È stato il tempo necessario affinché i ragazzi della media Pertini portassero in scena Antigone.
Quella perla che avevano coltivato dal 16 novembre scorso, venendo a scuola nel pomeriggio e il sabato mattina. Poi il lockdown, i cancelli sbarrati, il silenzio. La didattica a distanza con il teatro non funziona. Il teatro ha bisogno della presenza. La nemesi si ripete: Antigone ha bisogno della liturgia del corpo. Da marzo a settembre la scuola si riorganizza: distanze, percorsi, mascherine… Il 14 settembre ci sono i ragazzi e le ragazze intorno a Valerio, il regista. Non tutti, in verità. Alcuni compagni hanno finito la terza media. Ne coinvolgiamo altri, li facciamo salire in corsa. Intanto, il mondo è cambiato: la scuola dei
compagni di banco, delle merende scambiate, del tenersi per mano e financo delle spinte non esiste più. Anche Antigone cambia: niente abbracci, niente faccia a faccia. Tre ore di prove con la mascherina. Lunedì si va in scena, il teatro capovolto, perché il mondo è sottosopra, «the time is out of joint» direbbe Amleto. Cinque spettatori sul palcoscenico, gli studenti/attori
in platea: si muovono in uno spazio troppo grande, avendo cura di non sfiorarsi. Lontano, le voci e il suono del fischietto dalla palestra, eco di una normalità che non esiste più. La messinscena è diventata più corale: il papà di Keziah ha scritto in
inglese le parole che verranno cantate dalla figlia, perché Antigone è simbolo di fratellanza, oltre i confini, le etnie, le leggi
disumane. Antigone rivive. Viva Antigone! Applaudiamo i ragazzi, e non solo per la performance, ma anche e forse più ancora per la lezione che hanno dato: flessibilità, serietà, perseveranza. La loro pièce è metafora di ciò che è avvenuto e sta accadendo ancora in questi giorni dentro e intorno alla scuola: ci si reinventa, si va in scena e —forse — cala il sipario. E tuttavia, con tutta l’amarezza del caso, da una scuola che ci ha provato, e c’è riuscita, un appello: viva Antigone, mai più Antigone! Perché Antigone è una perdente, come lo è Creonte: vittime della loro intransigenza, hanno perduto se stessi e tutto.
Esattamente il contrario di ciò che serve adesso, in tempi di pandemia. In cui all’abbraccio fisico bisogna sostituire l’unità di intenti, perché non è l’interesse di parte che va difeso, benché legittimo. Ai nostri ragazzi fieri, che hanno portato in scena il coraggio e l’umanità di una giovane donna, dobbiamo un futuro non solo senza confini, ma senza barricate, senza difesa delle
posizioni per principio. La scuola, come altri settori, si è faticosamente e eroicamente attrezzata. Ma il consesso civile non è fatto da monadi, e la visione d’insieme deve dettare la linea. La tragedia rimanga sul palcoscenico.